Il festival nasce nel 1981, grazie agli sforzi congiunti dell’Arci di Gilberto Venturini e al Circolo del Jazz di Mantova (negli Anni Cinquanta uno dei più sorprendentemente numerosi d’Italia), un po’ in sordina ma con idee tutto sommato abbastanza chiare: portare a Mantova, nei limiti imposti dal budget, una rappresentazione il più significativa possibile dello stato di salute del jazz e delle tendenze più rilevanti in atto.
Fatte salve le due “estremità poetiche”, già abbondantemente rappresentate da altri festival ad esse specificamente dedicati: da un lato quella della “sperimentazione spinta”, ospitata ad esempio dal festival di Pisa, dall’altro quella del rassicurante “ritorno all’ordine”, che in quegli anni aveva come campione un Wynton Marsalis che si poteva ascoltare un po’ dappertutto nelle grandi piazze. Mantova Jazz parte, come si diceva, in sordina e con uno schema necessariamente elementare: la “segnalazione” di un musicista statunitense o europeo “non mainstream”, la cui sperimentazione avesse comunque chiari elementi di “leggibilità”, accanto a quella del musicista italiano che fosse più meritevole di l’attenzione (nella rassegna stampa si noteranno, nelle primissime edizioni, il duo Mengelberg-Bennink in cartellone con Pietro Tonolo, o Anthony Braxton in solo in cartellone con Gianluigi Trovesi, Massimo Urbani e Franco D’Andrea).
Di edizione in edizione il festival amplia sia budget che ambizioni, anche grazie alla sensibilità dell’assessore Sergio Cordibella, la cui recente scomparsa è stata avvertita da chi ha sempre lavorato al festival come un lutto del jazz mantovano.
A Mantova, aprendo al “mainstream d’autore”, arrivano musicisti sempre più visibili, come i “classici” Dexter Gordon, Johnny Griffin, Chet Baker, Dizzy Gillespie, Modern Jazz Quartet, Jim Hall, Tal Farlow, Barney Kessel, Betty Carter, Chick Corea, Gary Burton, Art Blakey, Art Farmer, Michel Petrucciani, Lee Konitz e moltissimi altri, accanto a sperimentatori di differenti generazioni, come Archie Shepp, Sun Ra, John Zorn, Jimmy Giuffre, Ralph Towner, Bill Frisell, Paul Motian, Tim Berne, Steve Coleman. C’è posto anche per gli europei come John Surman, Kenny Wheeler, Lol Coxhill, e per gli italiani più significativi, primo fra tutti Enrico Rava.
Il baricentro si sposta così decisamente sul jazz statunitense, anche se il rapporto tra Sergio Cordibella e il mantovano Gianni Bedori porta alla formazione di una Big Band nella quale molti musicisti locali, affiancati dai grandi specialisti italiani come Gil Cuppini, Rudi Migliardi o Emilio Soana, si fanno le ossa e, come nel caso di Mauro Negri, si proiettano brillantemente sulla scena del jazz non solo nazionale. Vi sono workshop con Enrico Rava e Franco D’Andrea e a Mantova si può di nuovo parlare di una scena jazzistica, dopo quella degli anni Cinquanta dei Camin, Baldassari, Bedori, Galetti e Chiozzini. Proprio la scomparsa di Roberto Chiozzini, nel 1988, porterà all’adozione del nuovo nome: “Mantova Jazz, Festival Roberto Chiozzini”. Per i mantovani semplicemente “Il Chiozzini”.